Installazione al Castello di Rivara
Cavenago mette in relazione una pietra tonda, prelevata dal greto di un fiume, ed un parallelepipedo irregolare realizzato in lamiera zincata. Il solido “geometrico”, simbolo dell’artificio, si staglia in verticale e poggia la sua terminazione angolata direttamente sull’impiantito, il bilico è sorretto solo dalla pietra tonda che, in virtù della sua sfericità, sembra conferire all’oggetto più che stabilità, una possibilità di fuga.
Sarà proprio la riflessione su tale opportunità a segnare una parte importante della prima fase della sua ricerca: conferire alla staticità della “statua” una possibilità di movimento. Un’intuizione che fino a questo momento nulla ha a che vedere con il cinetismo e che più semplicemente si interroga sulle possibilità di un archetipo della cultura materiale: la ruota. Egli la trasforma da protesi motoria a strumento per la modificazione della percezione dell’arte tridimensionale, creando uno spazio consolidato, ma ‘trasportabile’, una caratteristica che mette in crisi quel caposaldo della prassi artistica che vuole l’osservatore in contemplazione dell’opera immobile.
Luigi Di Corato, 2003
Installazione al Castello di Rivara
Cavenago mette in relazione una pietra tonda, prelevata dal greto di un fiume, ed un parallelepipedo irregolare realizzato in lamiera zincata. Il solido “geometrico”, simbolo dell’artificio, si staglia in verticale e poggia la sua terminazione angolata direttamente sull’impiantito, il bilico è sorretto solo dalla pietra tonda che, in virtù della sua sfericità, sembra conferire all’oggetto più che stabilità, una possibilità di fuga.
Sarà proprio la riflessione su tale opportunità a segnare una parte importante della prima fase della sua ricerca: conferire alla staticità della “statua” una possibilità di movimento. Un’intuizione che fino a questo momento nulla ha a che vedere con il cinetismo e che più semplicemente si interroga sulle possibilità di un archetipo della cultura materiale: la ruota. Egli la trasforma da protesi motoria a strumento per la modificazione della percezione dell’arte tridimensionale, creando uno spazio consolidato, ma ‘trasportabile’, una caratteristica che mette in crisi quel caposaldo della prassi artistica che vuole l’osservatore in contemplazione dell’opera immobile.
Luigi Di Corato, 2003
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