Un milione di posti di lavoro, 1994

Acciaio inox, sistema di irrigazione e mountain-bike
120 × 450 × 160 cm
Ironia sociale
Un milione di posti di lavoro (1994) è un'opera emblematica della sua pratica scultorea concettuale, che intreccia ironia sociale, critica politica e una riflessione sul ruolo funzionale dell'arte nello spazio pubblico. Realizzata in acciaio inox, con un sistema di irrigazione integrato a una mountain-bike, l'installazione fu esposta per la prima volta all'Istituto Pini di Milano, un ex ospedale psichiatrico con un ampio parco ad Affori (Milano), in un contesto che amplificava il suo dialogo con l'ambiente naturale e sociale. L'opera consiste in una mountain bike fissata a un asse centrale, collegata a un meccanismo di irrigazione: pedalando in cerchio – un gesto ripetitivo e faticoso, evocativo del lavoro imposto agli animali in mulini o pompe antiche – l'utente attiva il sistema, distribuendo acqua su una piccola area di terreno circostante per favorire una "micro-coltivazione intensiva". Visivamente, appare come un dispositivo ibrido tra macchina agricola e scultura ludica, con tubi e ugelli che si diramano dalla bici, creando un ciclo chiuso di movimento e nutrimento del suolo.
Scendere in campo
L'opera nasce in un momento storico preciso: le elezioni italiane del 1994, quando Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia e figura controversa della politica italiana, lanciò la sua campagna con la promessa elettorale di creare "un milione di posti di lavoro", uno slogan ambizioso e populista che simboleggiava la "discesa in campo" del magnate mediatico per rivitalizzare l'economia del paese. Berlusconi, al potere come Presidente del Consiglio dal maggio 1994 al gennaio 1995, presentava questa promessa come un piano concreto per combattere la disoccupazione e stimolare la crescita, ma fu spesso criticata come vuota retorica, priva di dettagli fattibili e radicata in un'ottica neoliberale che privileggiava grandi imprese e deregolamentazione. Cavenago, con la sua sensibilità per l'ironia e la destabilizzazione concettuale, intercetta questo discorso politico e lo sovverte: l'opera non è una mera parodia, ma una "soluzione" alternativa, assurda eppure tangibile, che reindirizza la promessa verso un ritorno alle radici agricole dell'Italia.
In questo senso, Un milione di posti di lavoro funge da critica satirica al fallimento delle narrazioni politiche astratte. Invece di posti di lavoro industriali o terziari – spesso effimeri e legati a cicli economici instabili – Cavenago propone un modello di occupazione "micro" e sostenibile: chiunque può "lavorare" pedalando per irrigare un piccolo appezzamento, creando valore attraverso un'attività manuale, ecologica e autonoma. È un invito a ripensare il lavoro non come statistica elettorale, ma come atto concreto di cura del territorio, riecheggiando temi di autosufficienza rurale in un'epoca di globalizzazione e crisi ambientale. L'aspetto ciclico del pedalare simboleggia l'inutilità di certe promesse politiche, un movimento perpetuo che produce risultati minimi, mentre l'irrigazione evoca fertilità e rigenerazione, contrapposta alla sterilità di slogan vuoti.
Dal ritorno all'agricoltura alla critica sociale
Sviluppando ulteriormente il concetto, l'opera di Cavenago può essere letta come una proposta utopica-distopica per un "ritorno all'agricoltura" in chiave contemporanea. In un'Italia post-industriale, segnata da disoccupazione giovanile e spopolamento rurale, l'installazione immagina un'economia di scala ridotta, dove la tecnologia semplice (la bici e l'irrigazione) democratizza la produzione alimentare. Questo "micro-coltivazione intensiva" anticipa temi oggi centrali, come l'agricoltura urbana, l'idroponica fai-da-te e le comunità resilienti al cambiamento climatico. Pedalare per irrigare non è solo fatica fisica, ma un atto performativo che coinvolge lo spettatore: l'opera invita il pubblico a interagire, trasformando l'arte da oggetto passivo a strumento attivo, in linea con la filosofia di Cavenago di creare "dispositivi" che destabilizzano lo spazio e il suo significato.
Sul piano sociale, l'opera commenta l'alienazione del lavoro moderno: il pedalare in cerchio richiama la routine alienante delle catene di montaggio o dei lavori precari, ma la riconnette a un output reale (l'acqua che nutre la terra), suggerendo che un vero "milione di posti di lavoro" potrebbe emergere da modelli decentrati e ecologici, piuttosto che da grandi piani statali. È una critica al capitalismo consumistico di Berlusconi, che privilegia il profitto rapido, proponendo invece un'etica del "fare con le mani", un ritorno alle origini contadine dell'Italia, dove l'agricoltura non è arretratezza, ma sostenibilità e comunità. In questo, Cavenago allinea l'arte al dibattito ecologico: l'irrigazione simboleggia la necessità di "nutrire" la società dal basso, contrastando la desertificazione metaforica causata da politiche fallimentari.
Inoltre, l'opera riflette sull'evoluzione della scultura contemporanea: Cavenago, influenzato dalla sua formazione architettonica, critica le installazioni all'aperto tradizionali come "artificiali" e scollegate dal paesaggio, proponendo invece opere umili e funzionali che recuperano un "ruolo più profondo" per l'arte. Esposta in un parco di una casa di cura, enfatizza temi di cura e rigenerazione, estendendo la metafora agricola alla società malata che necessita di "irrigazione", un nutrimento collettivo contro l'aridità politica.
Non solo arte, ma un’ecologia del possibile, un "ritorno alla terra" che è al tempo stesso resistenza e rinascita
Un milione di posti di lavoro di Umberto Cavenago trascende la satira politica, superando la critica alla retorica populista degli anni '90 per intrecciare economia, lavoro e arte in un legame profondo con la materialità della terra. L’opera – una bicicletta che, pedalando, attiva un sistema di irrigazione per una micro-coltivazione – si configura come un dispositivo concettuale che sabota l’idea di progresso infinito del capitalismo con un gesto arcaico e rituale. L’acciaio della bici e l’acqua che nutre il suolo non celebrano l’industria, ma la piegano a un’utopia agraria, dove il lavoro manuale ritrova senso contro l’alienazione moderna. In un’epoca di green economy e transizione ecologica, l’opera appare profetica, suggerendo che le soluzioni autentiche nascono da atti semplici e ironici, in opposizione alle promesse altisonanti del potere.
Photo © Mario Gorni

Un milione di posti di lavoro, 1994

Acciaio inox, sistema di irrigazione e mountain-bike
120 × 450 × 160 cm
Ironia sociale
Un milione di posti di lavoro (1994) è un'opera emblematica della sua pratica scultorea concettuale, che intreccia ironia sociale, critica politica e una riflessione sul ruolo funzionale dell'arte nello spazio pubblico. Realizzata in acciaio inox, con un sistema di irrigazione integrato a una mountain-bike, l'installazione fu esposta per la prima volta all'Istituto Pini di Milano, un ex ospedale psichiatrico con un ampio parco ad Affori (Milano), in un contesto che amplificava il suo dialogo con l'ambiente naturale e sociale. L'opera consiste in una mountain bike fissata a un asse centrale, collegata a un meccanismo di irrigazione: pedalando in cerchio – un gesto ripetitivo e faticoso, evocativo del lavoro imposto agli animali in mulini o pompe antiche – l'utente attiva il sistema, distribuendo acqua su una piccola area di terreno circostante per favorire una "micro-coltivazione intensiva". Visivamente, appare come un dispositivo ibrido tra macchina agricola e scultura ludica, con tubi e ugelli che si diramano dalla bici, creando un ciclo chiuso di movimento e nutrimento del suolo.
Scendere in campo
L'opera nasce in un momento storico preciso: le elezioni italiane del 1994, quando Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia e figura controversa della politica italiana, lanciò la sua campagna con la promessa elettorale di creare "un milione di posti di lavoro", uno slogan ambizioso e populista che simboleggiava la "discesa in campo" del magnate mediatico per rivitalizzare l'economia del paese. Berlusconi, al potere come Presidente del Consiglio dal maggio 1994 al gennaio 1995, presentava questa promessa come un piano concreto per combattere la disoccupazione e stimolare la crescita, ma fu spesso criticata come vuota retorica, priva di dettagli fattibili e radicata in un'ottica neoliberale che privileggiava grandi imprese e deregolamentazione. Cavenago, con la sua sensibilità per l'ironia e la destabilizzazione concettuale, intercetta questo discorso politico e lo sovverte: l'opera non è una mera parodia, ma una "soluzione" alternativa, assurda eppure tangibile, che reindirizza la promessa verso un ritorno alle radici agricole dell'Italia.
In questo senso, Un milione di posti di lavoro funge da critica satirica al fallimento delle narrazioni politiche astratte. Invece di posti di lavoro industriali o terziari – spesso effimeri e legati a cicli economici instabili – Cavenago propone un modello di occupazione "micro" e sostenibile: chiunque può "lavorare" pedalando per irrigare un piccolo appezzamento, creando valore attraverso un'attività manuale, ecologica e autonoma. È un invito a ripensare il lavoro non come statistica elettorale, ma come atto concreto di cura del territorio, riecheggiando temi di autosufficienza rurale in un'epoca di globalizzazione e crisi ambientale. L'aspetto ciclico del pedalare simboleggia l'inutilità di certe promesse politiche, un movimento perpetuo che produce risultati minimi, mentre l'irrigazione evoca fertilità e rigenerazione, contrapposta alla sterilità di slogan vuoti.
Dal ritorno all'agricoltura alla critica sociale
Sviluppando ulteriormente il concetto, l'opera di Cavenago può essere letta come una proposta utopica-distopica per un "ritorno all'agricoltura" in chiave contemporanea. In un'Italia post-industriale, segnata da disoccupazione giovanile e spopolamento rurale, l'installazione immagina un'economia di scala ridotta, dove la tecnologia semplice (la bici e l'irrigazione) democratizza la produzione alimentare. Questo "micro-coltivazione intensiva" anticipa temi oggi centrali, come l'agricoltura urbana, l'idroponica fai-da-te e le comunità resilienti al cambiamento climatico. Pedalare per irrigare non è solo fatica fisica, ma un atto performativo che coinvolge lo spettatore: l'opera invita il pubblico a interagire, trasformando l'arte da oggetto passivo a strumento attivo, in linea con la filosofia di Cavenago di creare "dispositivi" che destabilizzano lo spazio e il suo significato.
Sul piano sociale, l'opera commenta l'alienazione del lavoro moderno: il pedalare in cerchio richiama la routine alienante delle catene di montaggio o dei lavori precari, ma la riconnette a un output reale (l'acqua che nutre la terra), suggerendo che un vero "milione di posti di lavoro" potrebbe emergere da modelli decentrati e ecologici, piuttosto che da grandi piani statali. È una critica al capitalismo consumistico di Berlusconi, che privilegia il profitto rapido, proponendo invece un'etica del "fare con le mani", un ritorno alle origini contadine dell'Italia, dove l'agricoltura non è arretratezza, ma sostenibilità e comunità. In questo, Cavenago allinea l'arte al dibattito ecologico: l'irrigazione simboleggia la necessità di "nutrire" la società dal basso, contrastando la desertificazione metaforica causata da politiche fallimentari.
Inoltre, l'opera riflette sull'evoluzione della scultura contemporanea: Cavenago, influenzato dalla sua formazione architettonica, critica le installazioni all'aperto tradizionali come "artificiali" e scollegate dal paesaggio, proponendo invece opere umili e funzionali che recuperano un "ruolo più profondo" per l'arte. Esposta in un parco di una casa di cura, enfatizza temi di cura e rigenerazione, estendendo la metafora agricola alla società malata che necessita di "irrigazione", un nutrimento collettivo contro l'aridità politica.
Non solo arte, ma un’ecologia del possibile, un "ritorno alla terra" che è al tempo stesso resistenza e rinascita
Un milione di posti di lavoro di Umberto Cavenago trascende la satira politica, superando la critica alla retorica populista degli anni '90 per intrecciare economia, lavoro e arte in un legame profondo con la materialità della terra. L’opera – una bicicletta che, pedalando, attiva un sistema di irrigazione per una micro-coltivazione – si configura come un dispositivo concettuale che sabota l’idea di progresso infinito del capitalismo con un gesto arcaico e rituale. L’acciaio della bici e l’acqua che nutre il suolo non celebrano l’industria, ma la piegano a un’utopia agraria, dove il lavoro manuale ritrova senso contro l’alienazione moderna. In un’epoca di green economy e transizione ecologica, l’opera appare profetica, suggerendo che le soluzioni autentiche nascono da atti semplici e ironici, in opposizione alle promesse altisonanti del potere.
Photo © Mario Gorni
Photo © Mario Gorni